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La mancata internazionale dei popoli

Lo storico Luigi Salvatorelli, in una nota pagina del suo saggio Pensiero e azione del Risorgimento, evidenzia le due cause fondamentali del fallimento della rivoluzione del '48, "la vera rivoluzione internazionale europea":

"...Il Quarantotto, come è la vera rivoluzione italiana, così è la vera rivoluzione internazionale europea, poichè l'Ottantanove fu rivoluzione francese, con ripercussioni europee e occupazioni e dittature franco-rivoluzionarie in varie parti d'Europa al di fuori della Francia. Nel '48, pur cominciando il moto della Francia, il sollevamento avvenne quasi contemporaneamente in gran parte d'Europa; e se la scintilla fu francese, la preparazione di lunga mano, ideale e pratica, ciascun paese l'aveva fatta per conto proprio e al tempo stesso in contatto con gli altri. E' anche ragionevole pensare che, se la rivoluzione si fosse consolidata in Francia, Germania, Austria, Italia, gli effetti non sarebbero mancati nella penisola iberica, balcanica, scandinava, [...] per non parlare di altre ripercussioni minori in altri paesi. E tuttavia un moto così vasto e profondo fallì. Quale la ragione? I soliti discorsi di immaturità, eccessi ecc. non spiegano nulla; sono troppo generici, e denunziano fenomeni comuni alle rivoluzioni fallite come a quelle riuscite: non sono altro che piagnistei moralistici o paternali di moderatucoli. Occorre venire a spiegazioni piú concrete. Le quali sembra che possano ridursi a due: l'interferire di socialismo e liberismo, e quello di democrazia e nazionalismo. Il primo ebbe importanza decisiva in Francia, il secondo nel resto d'Europa; ma anche il secondo ebbe influenza sul fallimento francese, come il primo sugli altri fallimenti europei.

La bandiera rossa, levatasi nel Quarantotto a simbolo del proletariato, della repubblica, fu lo spavento e il ribrezzo della borghesia, di quella liberale non meno che della conservatrice; e il "pericolo rosso" pose la borghesia contro il proletariato, dividendo nettamente in due la massa di manovra liberale-democratica e spingendone la metà borghese indietro fino alla reazione e alla dittatura. Pochi spettacoli sono piú impressionanti, ancora oggi a distanza di quasi un secolo, di un Montalembert, e,-che è ben di piú-di un Cavour, i quali battono i denti dalla paura o schizzano livore dagli occhi di fronte al pericolo per "l'ordine sociale"; e son pronti, per scongiurare quel pericolo, a inchinare la sciabola e a baciare l'aspersorio. Solo dopo lo schiacciamento del socialismo in Francia Cavour riprende decisamente la sua evoluzione liberale. Non sono stati studiati sufficientemente per lui, e tanto meno per il moto liberale italiano del Quarantotto, gli effetti della paura del socialismo, come manca uno studio adeguato sui movimenti socialisti italiani in quel periodo. Nell'insieme, sembrerebbe che quella paura non abbia avuto nel Quarantotto italiano l'importanza primaria che ebbe indubbiamente nel francese (e ciò perchè il "pericolo rosso" fu meno grave tra noi), ove generò la maggioranza conservatrice dell'assemblea legislativa, la presidenza di Luigi Napoleone e il colpo di stato. Comunque, da allora le borghesie europee, poste fra l'amore per la libertà e il timore per la borsa, hanno inclinato, ogni volta che questo timore è salito a un certo livello, a dar retta al secondo invece che al primo, senza domandarsi troppo se, in fin dei conti, non cumulassero i due pericoli insieme.

Piú decisivo, sul piano europeo, appare l'altro fattore del fallimento quarantottesco. Le diverse nazioni insorte non si accordarono fra loro secondo il fideistico presupposto mazziniano. Taluna (quella francese), sicura della propria antica esistenza, rimase in disparte a contemplare la lotta delle altre piú giovani (interventi diplomatici e velleità di interventi militari non cambiarono nulla a questo fatto, e per la loro inconcludenza e perchè rimasero sul piano della vecchia politica); e non comprese che quella lotta non era indifferente per la propria libertà interna, per il proprio avvenire in Europa. Le nazionalità giovani non solo non si aiutarono reciprocamente, ma si contrastarono e combatterono. I nazionalisti tedeschi si posero contro slavi e italiani; e invano si tentò dai nostri di ottenere dall'Assemblea di Francoforte il riconoscimento del Trentino italiano. Il maresciallo Radetzky,-restauratore del dominio austriaco in Italia in attesa di esserne il boia qualche anno piú tardi,-fece figura di eroe nazionale tedesco. Gli ungheresi non si portarono meglio di fronte ai croati; e questi fornirono all'imperatore asburgico i battaglioni piú bellicoso contro l'Ungheria. Mancò quasi totalmente la solidarietà dei popoli contro l'oppressione comune...

Era mancata la coalizione dei popoli; aveva vinto quella dei governi. Non fu vittoria definitiva. Quella solidarietà dei governi fu sconvolta ben presto dalla politica di Napoleone III. Ma non tornò piú un momento come quello del Quarantotto, di sforzo solidale dei popoli per la liberazione e la federazione. L'ideale di Mazzini e Cattaneo rimase inattuato. E la profezia del Gioberti nel Rinnovamento, che il moto della democrazia europea avrebbe generato e incluso il "Rinnovamento" italiano, non si avverò, almeno in quella forma diretta e integrale."

Progetto realizzato da Irene Pucci per il corso "Metodologia della ricerca storica" - Prof.ssa Enrica Salvatori