Sei in Home>Francia

La rivoluzione in Francia

Come già era accaduto nel 1830, il moto rivoluzionario ebbe il suo centro di irradiazione in Francia. La "monarchia liberale" di Luigi Filippo d'Orleans era certamente uno dei regimi europei meno oppressivi. Ma la stessa maturazione economica, civile e culturale della società francese, favorita dal regime liberale, faceva apparire sempre meno tollerabile i limiti oligarchici di quel regime e la politica ultramoderata praticata da Luigi Filippo e dal suo primo ministro Guizot. Si andò così coalizzando un vasto fronte di opposizione che andava dai liberali progressisti ai democratici, dai bonapartisti ai socialisti, senza escludere alcune frange dell'opinione pubblica cattolica e legittimista.

Per i democratici, in particolare, l'obbiettivo da raggiungere era il suffragio universale, ossia la concessione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi senza distinzione di reddito e di condizione sociale. Il suffragio universale era visto non solo come l'attuazione pratica della sovranità popolare, ma anche come il mezzo piú sicuro per realizzare gli ideali di giustizia sociale. Nettamente minoritari in Parlamento, i democratici cercarono di trasferire la loro protesta nel "paese reale". Lo strumento scelto fu la cosiddetta campagna dei banchetti: riunioni svolte in forma privata che aggiravano i divieti governativi e consentivano ai capi dell'opposizione e ai loro seguaci di tenersi in contatto e di far propaganda per la riforma elettorale.

Fu proprio la proibizione di un banchetto, previsto per il 22 febbraio a Parigi, a innescare la crisi rivoluzionaria. Lavoratori e studenti parigini, già mobilitati da giorni, organizzarono una grande manifestazione di protesta. Per impedirla, il governo ricorse alla Guardia nazionale, il corpo volontario di cittadini armati che era stato istituito nel 1789 ed era rinato dopo l'insurrezione del luglio 1830. Questa volta, chiamata a difendere un governo largamente impopolare, finì col fare causa comune con i dimostranti. Il successivo intervento dell'esercito rese impossibile qualsiasi soluzione di compromesso: dopo due giorni di barricate e di violenti scontri, gli insorti erano padroni della città. Il 24 febbraio Luigi Filippo abbandonò Parigi. La sera stessa, all'Hotel de Villi (il municipio parigino, naturale punto di riferimento di tutte le rivoluzioni) veniva costituito un governo che si pronunciava decisamente a favore della repubblica e annunciava la prossima convocazione di un'Assemblea costituente da eleggere a suffragio universale.

I primi passi della Seconda Repubblica francese si svolsero in un clima di generale entusiasmo e furono caratterizzate da una ripresa in grande stile del dibattito politico. Fu abrogata ogni limitazione alla libertà di riunione. Sorsero nuovi giornali e si moltiplicarono, come già era avvenuto nell'89, i club e le associazioni d'ogni colore.

Una prima secca sconfitta per le correnti di estrema sinistra venne dalle elezioni per l'Assemblea costituente, che si tennero il 23 aprile 1848. Il suffragio universale portò alle urne un elettorato rurale, i cui orientamenti erano assai piú conservatori di quelli prevalenti nella capitale. I veri vincitori furono i repubblicani moderati: furono loro a costituire l'ossatura del nuovo governo dal quale vennero esclusi i socialisti. Invano il popolo parigini tentò di riprendere l'iniziativa sul terreno delle manifestazioni di piazza, represse dalla Guardia nazionale, che arrestò molti leader della sinistra rivoluzionaria. A giugno il governo emanò un decreto con cui si stabiliva la chiusura degli ateliers nationaux e si obbligavano i disoccupati piú giovani ad arruolarsi nell'esercito.

La reazione dei lavoratori di Parigi fu immediata e spontanea. Il 23 giugno, oltre cinquantamila persone scesero in piazza. Nei quartieri popolari ricomparvero le barricate. In risposta l'Assemblea costituente concesse pieni poteri al ministro della Guerra, il generale Louis Eugène Cavaignac, per procedere alla repressione, che fu condotta nei giorni successivi con spietata durezza. Migliaia di insorti trovarono la morte sulle barricate o nelle esecuzioni sommarie che seguirono gli scontri.

Agli occhi della borghesia di tutta Europa, la rivolta dei lavoratori parigini (apparsa a Marx come il primo vero scontro di classe che vedesse schierato su opposti fronti il proletariato e la borghesia) dava corpo all'incubo della rivoluzione sociale, allo "spettro del comunismo". Tutta la società francese fu attraversata da un'ondata di riflusso conservatore; tuttavia la situazione rimase sotto il controllo delle forze moderate.

In novembre l'Assemblea costituente approvò a stragrande maggioranza una costituzione democratica, ispirata al modello statunitense, che prevedeva un Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo per la durata di quattro anni e un'unica Assemblea legislativa eletta anch'essa a suffragio universale. Ma alle elezioni presidenziali (10 dicembre) i repubblicani si presentarono divisi, mentre i conservatori di ogni gradazione fecero blocco sulla candidatura di Luigi Napoleone Bonaparte; così una vera e propria valanga di suffragi si riversò sul candidato conservatore. Si chiudeva così la fase democratica della Seconda Repubblica.

Progetto realizzato da Irene Pucci per il corso "Metodologia della ricerca storica" - Prof.ssa Enrica Salvatori